Archivio degli autori Paolo Rotella

DiPaolo Rotella

Il caso Amazon: la somministrazione a tempo determinato tra limiti ed incertezze operative

Ancora oggi, alla luce dell’introduzione del D.lgs. 81/2015, uno dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act, permangono numerosi dubbi ermeneutici sui limiti di operatività della somministrazione a tempo determinato. Il caso Amazon recentemente ha riportato alla ribalta la tematica dell’uso o abuso della somministrazione a tempo determinato (impropriamente definita ancora oggi come lavoro interinale) portando – come spesso avviene in questi casi – ad estremizzazioni o j’accuse prive di fondamento.

Non dobbiamo dimenticare che la somministrazione a tempo determinato rappresenta un validissimo strumento per far fronte alla stagionalità, a picchi di lavoro, e risponde perfettamente ad alcune esigenze di flessibilità produttiva che contraddistinguono specifiche attività come ad esempio le produzioni alimentari. Orbene, a livello sistematico, la prima e opportuna precisazione è quella che ci porta a definire i contorni del rapporto di somministrazione. Quando si parla di somministrazione è fondamentale distinguere tra due rapporti che viaggiano paralleli: da una parte, abbiamo il contratto commerciale tra agenzia di somministrazione ed utilizzatore, dall’altra il sottostante contratto di lavoro subordinato tra agenzia di somministrazione e lavoratore  somministrato.

Per quanto concerne il rapporto di lavoro tra agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato, quest’ultimo può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato. Nel caso di assunzione a tempo determinato, però, per il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore non trovano applicazione le disposizioni di cui agli articoli 19, commi 1, 2 e 3, 21, 23 e 24 del D.lgs. 81/2015 e cioè tutte quelle disposizioni che riguardano il contratto di lavoro a tempo determinato “standard”: l’apposizione del termine, la durata massima (art. 19), le proroghe e i rinnovi (art. 21), il numero complessivo di contratti a tempo determinato (art. 23) e i diritti di precedenza (art. 24). In tale prospettiva, gli unici limiti previsti sono quelli indicati dall’art. 34 comma 2 del D.lgs. 81/2015, che rimandano alla contrattazione collettiva applicata dal somministratore. In tal senso il CCNL delle agenzie di somministrazione all’art’ 47 prevede che “il termine inizialmente posto al singolo contratto di lavoro può essere prorogato fino ad un massimo di 6 volte. Il singolo contratto, comprensivo delle eventuali proroghe, non può avere una durata superiore a 36 mesi. Il periodo temporale dei 36 mesi si intende comprensivo del periodo iniziale di missione, fermo restando che l’intero periodo si configura come un’unica missione.”

Per quanto attiene, invece, ai limiti posti dalla legge in materia di somministrazione di lavoro a tempo determinato, quest’ultimi sono soltanto quelli “quantitativi” previsti dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore (art. 31, comma 2), il cui mancato rispetto comporta la possibilità per il lavoratore di agire in giudizio per ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro direttamente alle dipendenze dell’utilizzatore ex art. 38 (esattamente quello accaduto nel caso Amazon). Tale rimedio, tuttavia, non risulta previsto dal legislatore nel caso di mancato rispetto delle limitazioni previste dall’art. 34 comma 2 del D.lgs. 81/2015 in materia di contratto a tempo determinato stipulato tra agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato.

Ora, poste tali premesse, sembrerebbe possano sorgere dubbi interpretativi alla luce dell’art. 19 del D.lgs. 81/2015  che così recita: “ Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i trentasei mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento” (comma 2).

In tale prospettiva, in passato il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, aveva specificato nella famosa circolare n. 18/2012 (in vigenza del precedente D.lgs. 368/2001) che il limite dei 36 mesi riguarda solo ed esclusivamente il contratto a tempo determinato, e nulla a che vedere il contratto commerciale tra utilizzatore ed agenzia di somministrazione.

Ora, una interpretazione così “a maglie larghe” della norma, potrebbe senza alcun dubbio violare il principio di non discriminazione del lavoratore somministrato. Tra l’altro, molto spesso nei rapporti commerciali di somministrazione, l’utilizzatore non si limita ad accettare passivamente i lavoratori scelti dal somministratore, ma “indica” come soggetti da somministrare, lavoratori già mandati in missione presso lo stesso utilizzatore e che quindi oltre a conoscere la realtà organizzativa aziendale, presentano una certa “affidabilità”. Pensiamo al caso di un lavoratore, che in forza di più contratti a tempo determinato con la stessa agenzia di somministrazione, venga inviato in missione per un periodo superiore ai 36 mesi presso uno stesso utilizzatore, in forza di un unico contratto a tempo determinato prorogato per più di 6 volte, e quindi in violazione dell’art. 47 del CCNL agenzie di somministrazione. Secondo l’interpretazione ministeriale, tale lavoratore non potrebbe richiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei confronti dell’utilizzatore, in quanto il rapporto di lavoro risulta essere formalmente stipulato con un soggetto terzo. Al lavoratore non resterebbe che richiedere la trasformazione del rapporto presso l’agenzia di somministrazione per violazione della norma pattizia contenuta nell’art. 47 del CCNL.

E’ da notare che non esiste ancora giurisprudenza sul tema del possibile utilizzo “fraudolento” della somministrazione a tempo determinato (il celebre caso Poste ha visto la pronuncia della Cassazione in vigenza delle norme contenute nel D.lgs. 276/2003) ma non è mancata in dottrina (D’Addio) chi sostiene che in un’ottica sistemica, l’utilizzo costante e reiterato di più contratti di somministrazione a tempo determinato che coinvolgono lo stesso lavoratore, possa integrare una fattispecie di contratto in frode alla legge ex art. 1344 del c.c., con la possibilità – aggiungo io – di esperire il rimedio previsto dal comma 5 dell’art. 32 della l.n. 183/2010, c.d. Collegato lavoro, con richiesta di indennità risarcitoria fino ad un massimo d 12 mensilità, che potrebbe coinvolgere anche l’utilizzatore, in forza del principio della responsabilità solidale.

 

DiPaolo Rotella

Tirocini formativi e di orientamento: attenzione agli abusi

La circolare n. 8/2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha sorpreso alcuni addetti ai lavori delle risorse umane, forse perché per la prima volta l’Ispettorato entra a “gamba tesa” sull’utilizzo fraudolento dei tirocini formativi, spesso adoperati come strumento dissimulatore di un sottostante e sostanziale rapporto di lavoro subordinato.  In realtà le indicazioni operative rivolte al personale ispettivo non devono sorprendere alla luce del fatto che già lo scorso 8 febbraio, la Commissione Centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza, aveva inserito i tirocini tra gli ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro per l’anno 2018. L’attività di vigilanza dell’Ispettorato, tiene conto delle competenze esclusive della legislazione Regionale in materia di tirocini extracurriculari, a norma dell’articolo 117 comma 4 della Costituzione, anche alla luce delle rinnovate linee guida adottate in data 25 maggio 2017 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

La circolare numero 8 dell’Ispettorato assume un certo interesse in quanto offre alcune indicazioni che potremmo definire “sintomatiche” dell’assenza di genuinità del tirocinio. E’ evidente, infatti, che molto spesso il tirocinio extracurriculare venga adoperato non tanto per consentire al tirocinante l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorarne l’occupabilità, ma diventa strumento elusivo, al fine di ottenere forza lavoro effettiva a costi di gran lunga inferiori rispetto quelli che contraddistinguono il rapporto di lavoro subordinato. Non dobbiamo infatti dimenticare che il tirocinante non è un lavoratore subordinato, il tirocinio non si configura come un rapporto di lavoro ex art. 2094 e  2222 del codice civile, ed in quanto tale non incide sullo stato di disoccupazione.

La circolare dell’Ispettorato enuncia i casi che consentiranno al personale ispettivo di ricondurre il tirocinio alla forma comune di rapporto intercorso tra le parti, ossia il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, così come previsto dall’art. 1 del D.lgs. 81/2015.  A mio avviso le violazioni in materia possono essere distinte in due macro-categorie:

  • Violazioni formali

Sono quelle che si sostanziano nella violazione delle disposizioni regionali che regolano l’istituto del tirocinio. Ciò avviene, ad esempio, nelle ipotesi di durata del tirocinio per un periodo inferiore al limite minimo o per un periodo superiore al limite massimo, previsto dalla normativa regionale. Altre ipotesi possono riguardare l’assenza dei requisiti soggettivi previsti per il tirocinante (soggetti in stato di disoccupazione,soggetti destinatari di strumenti di sostegno al reddito, soggetti disabili, ecc.) o l’assenza dei requisiti previsti dal soggetto promotore, l’assenza di convenzione tra soggetto promotore e soggetto ospitante, coincidenza tra soggetto promotore e soggetto ospitante, assenza del piano formativo individuale.

  • Violazioni sostanziali

Sono quelle forse più difficili da delineare, ma che necessitano di una particolare attenzione al momento della attivazione del tirocinio. Qui l’Ispettorato evidenzia una sorta di “fenomenologia” dell’assenza di genuinità del tirocinio, vale a dire degli indizi che meritano di essere approfonditi da parte del personale ispettivo, al fine di comprendere se de facto quest’ultimo celi un rapporto di lavoro subordinato. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nell’ipotesi di un tirocinio avente ad oggetto attività dal contenuto professionale elementare o addirittura nullo, tali da espletarsi in maniera del tutto routinaria. E’ evidente, inoltre, che nell’ipotesi in cui il tirocinante sia l’unica risorsa a svolgere una attività essenziale e portante (e quindi non sussidiaria e/o complementare) all’interno dell’organizzazione aziendale, il contenuto formativo del tirocinio appare alquanto dubbio e discutibile.  La circolare non fa alcun riferimento all’età massima del tirocinante. Questo è un aspetto a mio avviso importante da sottolineare, in quanto molto spesso si ritiene che il tirocinio debba necessariamente configurarsi come uno strumento indirizzato a giovani o a persone alla prima esperienza professionale. Nulla vieta, tuttavia, di adoperare il tirocinio, sempre nel rispetto della normativa e dei requisiti di genuinità giust’appunto enucleati, anche nei confronti di profili senior, che vogliano inserirsi nuovamente nel processo produttivo o adeguarsi a nuovi standard tecnologici ed operativi.

L’apparato sanzionatorio si dispiega in funzione della sanabilità o meno delle violazioni della normativa regionale. Viene prevista l’intimazione alla cessazione del tirocinio, pena l’interdizione per il soggetto promotore e/o ospitante ad attivarne altri nei successivi 12/18 mesi, per le seguenti violazioni definite non sanabili relative:

• ai soggetti titolati alla promozione;
• alle caratteristiche soggettive e oggettive richieste al soggetto ospitante del tirocinio;
• alla proporzione tra organico del soggetto ospitante e numero di tirocini;
• alla durata massima del tirocinio;
• al numero di tirocini attivabili contemporaneamente;
• al numero o alle percentuali di assunzione dei tirocinanti ospitati in precedenza;
• alla convenzione richiesta ed al relativo piano formativo.

Sono soggette, in una prima fase, a semplice invito alla regolarizzazione e, in caso di successivo inadempimento alla medesima procedura di intimazione ed interdizione, le seguenti ipotesi sanabili:
• inadempienza dei compiti richiesti ai soggetti promotori e ai soggetti ospitanti e ai rispettivi tutor;
• violazioni della convenzione o del piano formativo, nel caso in cui la durata residua del tirocinio consenta di ripristinare le condizioni per il conseguimento degli obiettivi stabiliti;
• violazioni della durata massima del tirocinio, quando al momento dell’accertamento non sia ancora superata la durata massima stabilita dalla norma regionale.

Qualora il personale ispettivo dovesse riscontrare l’attivazione di un tirocinio da parte di un soggetto che risulti interdetto dalla Regione o la prosecuzione del rapporto di tirocinio per il quale abbia ricevuto intimazione alla cessazione; in tali casi si procederà alla riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

 

DiPaolo Rotella

E’ possibile assumere un apprendista over 29?

Una delle novità più interessanti del decreto attuativo del Jobs Act in materia di riordino delle tipologie contrattuali ex D. lgs. 81/2015, che è passata inizialmente inosservata tra i commentatori, è senza alcun dubbio la norma introdotta dal comma 4 dell’art. 47 del decreto che prevede:

  “Ai fini della loro qualificazione o riqualificazione professionale e’ possibile assumere in apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione”

La norma, consente l’assunzione con contratto di apprendistato c.d. per qualificazione o riqualificazione professionale senza limiti di età non soltanto di coloro che stiano percependo l’indennità di disoccupazione NASPI, ma anche coloro che abbiano inoltrato la semplice istanza per la fruizione del trattamento di disoccupazione. Potenziali beneficiari sono anche coloro che abbiano fatto richiesta di DIS-COLL (indennità specifica per i collaboratori coordinati e continuativi resa strutturale dalla legge n. 81 2017 c.d. Jobs Act degli autonomi) e di disoccupazione speciale edile.

I vantaggi normativi e contributivi relativi all’utilizzo di tale strumento normativo, sono i medesimi di quelli previsti per il normale apprendistato professionalizzante “under 29”:

  1. Possibilità di sotto inquadrare il lavoratore fino a due livelli rispetto a quello stabilito dal CCNL per le mansioni alle quali è finalizzato il contratto
  2. Esclusione della computabilità degli apprendisti per l’applicazione di particolari istituti (ad esempio l. n. 68/1999 in materia di assunzione disabili)
  3. contribuzione agevolata a carico del datore di lavoro, sia per quanto concerne i contributi obbligatori INPS (ridotti al 10%, con una ulteriore riduzione all’1,5% nel primo anno e al 3% nel secondo anno di contratto per i datori di lavoro che occupano fino a 9 dipendenti) sia per quanto riguarda i premi INAIL.

Le uniche differenze rispetto al contratto di apprendistato professionalizzante  “ordinario” riguardano:

  • Impossibilità di recedere dal contratto per mancato superamento del periodo formativo, ma solo per giusta causa o giustificato motivo (sia esso soggettivo o oggettivo). In tal senso è evidente la finalità del legislatore, che già sta incentivando l’assunzione di un lavoratore percettore di indennità dovute alla perdita di occupazione, ma che rischierebbe di offrire il fianco ad un utilizzo distorto dello strumento qualora consentisse di licenziare ad nutum un lavoratore che comunque (in passato) una qualifica professionale l’aveva già ottenuta. In tal senso, il contenuto del piano formativo – che ricordiamo essere parte integrante del contratto di apprendistato – presenta alcuni aspetti di indubbia difficoltà per quanto concerne la stesura. Potremmo infatti trovarci di fronte un soggetto, come detto, con pregresse esperienze lavorative, nonché con titoli e qualificazioni già acquisite in passato. In tal senso, sarà opportuna una sorta di “mappatura delle conoscenze”, per cercare di comprendere se le competenze già acquisite dalla risorsa, non risultino oramai obsolete o non sfruttabili nello specifico contesto aziendale. In tal senso la finalità del progetto formativo dovrà essere quella di “aggiornare” le competenze dell’apprendista, piuttosto che formarlo ex novo.
  •  L’agevolazione contributiva del 10%, non trova applicazione per l’ulteriore anno al termine del periodo formativo, in caso di mantenimento in servizio dell’apprendista.

Per quanto concerne gli adempimenti nei confronti dell’INPS, il datore di lavoro dovrà effettuare mediante cassetto bidirezionale la comunicazione dell’avvenuta assunzione adoperando il format allegato al messaggio dell’INPS del 31 maggio 2017 n. 2243.

 

 

DiPaolo Rotella

Lo sgravio contributivo per gli under 35. Opportunità e limiti.

Sebbene sia sempre stato molto critico nei confronti di interventi una tantum di decontribuzione, (ne ho discusso ampliamente qui e qui) la legge di Bilancio 2018 (l.n. 205/2017) ripropone un nuovo incentivo finalizzato a favorire l’occupazione giovanile e stabile. In modo particolare i datori di lavoro che a partire dal 1° gennaio 2018 assumeranno con contratto a tempo indeterminato giovani con meno di 35 anni di età, ovvero trasformeranno in tempo indeterminato un precedente contratto a termine, avranno diritto ad un esonero contributivo pari al 50% dei contributi previdenziali, per un periodo di 36 mesi, nel limite massimo di 3.000 euro su base annua.

Così esplicata la norma sembrerebbe molto simile agli sgravi – biennale e triennale – che hanno agevolato le assunzioni stabili negli ultimi due anni. In realtà la norma prevede una serie di limiti che renderanno di non facile fruizione lo sgravio, creando – a parere di chi scrive – non poco contenzioso con l’Istituto Previdenziale.

Primo aspetto interessante, è che soltanto per il 2018 l’incentivo riguarderà gli under 35. A partire dal 2019 il limite di età scenderà a 30 anni. Un elemento che senza alcun dubbio limiterà una estesa fruizione dell’incentivo, è che quest’ultimo potrà essere goduto solo ed esclusivamente con riferimento a soggetti che non siano mai stati assunti a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro. Sicuramente questo rappresenta l’aspetto meno condivisibile della norma. Considerando che un giovane di 35 anni, potrebbe essere stato assunto molti anni fa a tempo indeterminato – anche per pochi giorni, prima, ad esempio, di rassegnare le proprie dimissioni – questa singola assunzione a tempo indeterminato rende inesigibile al nuovo beneficio contributivo. Non solo, tenendo conto che l’età minima per l’accesso al lavoro è pari a 16 anni, questo implica potenzialmente che il datore di lavoro dovrà ripercorrere a ritroso per quasi un ventennio, la vita lavorativa del giovane per il quale volesse accertare la possibilità di godere del beneficio contributivo. Un aspetto di assoluta novità, tuttavia, è rappresentato da una sorta di portabilità dell’agevolazione contributiva in capo al lavoratore. Nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia usufruito di un parziale esonero, porterà in “dote” il beneficio residuo anche in capo al nuovo datore di lavoro che intenda assumerlo a tempo indeterminato, il quale potrà godere dei mesi di decontribuzione non usufruiti dal precedente datore di lavoro. L’agevolazione non spetta in caso di assunzione con contratto di apprendistato, sebbene ai sensi dell’art. 41, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, l’apprendistato è definito come “contratto di lavoro a tempo indeterminato” . Nel caso dell’apprendistato l’incentivo trova applicazione solo nel caso di sua prosecuzione, successiva al 31 dicembre 2017, e quindi di conferma in servizio in seguito al superamento del periodo formativo, a condizione che il lavoratore non abbia compiuto il 30° anno di età. E’ agevolabile, inoltre, la trasformazione di un contratto a tempo determinato, sempre nel rispetto dei limiti anagrafici previsti dalla norma.

Quali sono le regole che deve rispettare il datore di lavoro per poter godere dell’incentivo

Oltre a rispettare i princìpi generali di fruizione degli incentivi, previsti dall’articolo 31 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, e non aver proceduto, nei sei mesi precedenti la data di assunzione agevolata, a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva, è stato introdotto un limite particolare: qualora il datore di lavoro proceda, nei 6 mesi successivi all’assunzione incentivata, al licenziamento per giustificato motivo oggettivo dello stesso lavoratore agevolato o di un altro lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva ed inquadrato con la medesima qualifica del lavoratore assunto con l’esonero, l’Istituto Previdenziale (INPS) provvederà alla revoca dell’incentivo ed al recupero del beneficio già fruito da parte dell’azienda.

Ora, cosa si intende per lavoratore con la medesima qualifica professionale? Questo è, a mio avviso, uno degli aspetti maggiormente problematici della norma. Infatti, alla luce del nuovo art. 2103 c.c., come modificato dall’art. 3 del decreto legislativo n. 81/2015, si considerano equivalenti le mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento. Così letta la norma, implicherebbe un divieto di licenziamento anche per un lavoratore che svolge mansioni de facto differenti rispetto a quelle compiute dal lavoratore agevolato, ma appartenenti al medesimo livello di inquadramento. Tale dato normativo appare alquanto problematico sul piano ermeneutico. Pensiamo ad esempio al caso del CCNL Terziario- Commercio, che per il livello 4° prevede un mansionario vastissimo che va dagli addetti alla segreteria che tengono contatti informativi con la clientela all’ ict security specialist. Davvero si può immaginare che il licenziamento dell’addetto alla segreteria per giustificato motivo oggettivo, possa andare ad inficiare, per esempio, il beneficio contributivo fruito per l’assunzione di un giovane tecnico ict?

Come al solito per rispondere a questi e ad altri quesiti scaturenti dalla norma, dovremmo aspettare i chiarimenti dell’INPS, in quella egemonia del “diritto circolatorio” che ormai caratterizza il diritto del lavoro italiano.

 

 

DiPaolo Rotella

L’utilizzo allegro dell’appalto di servizi e i rischi connessi alla subfornitura industriale

Una pericolosa tendenza che emerge nel mercato del lavoro italiano, è rappresentata da quella insopprimibile tentazione ad utilizzare l’appalto di servizi come strumento non tanto occulto di utilizzo di manodopera, fattispecie che rientrerebbe nella somministrazione fraudolenta ed oggetto di un corposo regime sanzionatorio. E’ incredibile pensare a quanti datori di lavoro si sentano  – a torto – tutelati dal sillogismo: “i dipendenti non sono i miei, non corro alcun rischio“. Proprio negli appalti esoaziendali si nascondono le maggiori insidie e i maggiori pericoli della responsabilità solidale ex art. 29 del D.lgs. 276/2003 ex lege Biagi, ed in questa prospettiva la recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 254/20017 estende in misura rilevante la responsabilità delle imprese che esternalizzano i processi produttivi per il tramite anche di un contratto di subfornitura.

La vicenda è semplice ed alquanto interessante: la Corte di appello di Venezia – chiamata a decidere sul contro ricorso proposto da una società committente avverso la statuizione di primo grado con la quale era stata condannata al pagamento di retribuzioni non corrisposte dall’impresa (sua) subfornitrice, ai lavoratori di quest’ultima – ha sollevato la questione incidentale di legittimità costituzionale della norma, applicata dal primo giudice, di cui all’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Secondo la Corte rimettente detta norma – nel disporre che “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori […] a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi […] in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto” – “non è suscettibile di essere applicata oltre i casi espressamente previsti (appalto e subappalto), né la natura della disposizione e la diversità di fattispecie contrattuale tra subappalto e subfornitura, consente un’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa. In modo particolare, la mancata estensione della responsabilità solidale anche ad altre tipologie contrattuali, quale quella della subfornitura, realizzerebbe una violazione di cui all’art. 3 della Costituzione, nonché al principio della giusta ed equa retribuzione ex art. 36.

La disciplina della subfornitura è contenuta nella legge del 18 giugno 1998, n. 192, e presenta una funzione che potremmo definire integrativa. La prestazione del subfornitore nel processo produttivo dell’impresa committente si innesca «in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi» forniti dall’impresa medesima. La Corte Costituzionale, ripercorrendo le diverse interpretazioni sulla natura del contratto di subfornitura, vale a dire se quest’ultimo potesse essere considerato come species del contratto di appalto ex art. 1655 del codice civile, o invece come autonoma figura contrattuale, evidenzia come, a prescindere dall’orientamento ermeneutico adottato, non è escludibile una estensione della responsabilità solidale anche nell’ipotesi di subfornitura:Ciò in quanto la ratio dell’introduzione della responsabilità solidale del committente – che è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale – non giustifica una esclusione (che si porrebbe, altrimenti, in contrasto con il precetto dell’art. 3 Cost.) della predisposta garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento.”

Il committente è obbligato – quindi – con il subfornitore per tutti i crediti retributivi e previdenziali dei dipendenti di questi ultimi.

Si possono i discutere i principi ermeneutici che stanno dietro questa importantissima sentenza della Corte Costituzionale. Un dato è certo, chi adopera strumenti di esternalizzazione dei processi produttivi dovrebbe valutare con estrema attenzione la solidità dei partner commerciali, e soprattutto, conoscere ex ante i rischi e le implicazioni della responsabilità solidale.

DiPaolo Rotella

“Nuovi voucher”: sono ancora convenienti?

Questo articolo vuole esaminare un aspetto – a mio modesto avviso – trascurato nel dibattito sui “vecchi” voucher e sulle “nuove” prestazioni occasionali. In questo articolo ho delineato alcune delle caratteristiche salienti delle nuove prestazioni di lavoro occasionali. Una delle più interessanti è – senza alcun dubbio – la previsione di una misura minima del compenso pari a 9 euro. Il compenso pattuito, comunque, non può essere inferiore a 36 euro per prestazioni di durata non superiore a 4 ore continuative nell’arco della giornata. Di fatto il legislatore prevede una durata minima della prestazione di lavoro occasionale pari 4 ore.

Partendo da questo presupposto, cerchiamo di comprendere la convenienza delle prestazioni occasionali rispetto ai vecchi voucher e ad una “classica” assunzione con contratto di lavoro subordinato part-time.

Prest.o vs Voucher

Il valore  di un voucher nella precedente normativa era pari a 7,50 euro netti. Il valore nominale lordo era pari a 10 euro comprensivo dei contributi INPS (pari al 13%) a favore della gestione separata INPS, di quella in favore dell’INAIL per l’assicurazione anti-infortuni (7%)  e di un compenso al concessionario (Inps), per la gestione del servizio, pari al 5%. Non solo, nella precedente disciplina non era prevista una durata minima della prestazione occasionale. Questa estrema flessibilità aveva portato alla deplorevole pratica elusiva di “registrare” con un solo voucher pari a 10 euro, prestazioni che de facto si protraevano per una intera giornata di lavoro.  Si evitava in tal modo la maxi-sanzione per lavoro nero e si retribuivano in nero le restanti ore di lavoro.

Oggi tutto questo non è più possibile. Le nuove prestazioni occasionali devono avere una durata minima di 4 ore ed un compenso minimo di 9 euro, partendo – quindi – da un base imponibile di 36 euro. E’ necessario poi aggiungere una contribuzione pari al 33% (si noti uguale a quella della generalità dei lavoratori dipendenti) destinata alla gestione separata INPS, ed un premio assicurativo INAIL pari al 3,5%, più un ulteriore 1% per oneri di gestione. Tot. = 37,5%.

E’ evidente quindi che anche a parità di ore, le nuove prestazioni occasionali risultano meno convenienti per i datori di lavoro, con un aumento di costo al netto degli oneri di gestione pari al 27%.

 

 

Prest.o vs Part-time

Più interessante a mio avviso, è invece il confronto tra prestazioni occasionali e part-time. Questo confronto trae spunto da un quesito posto da un cliente che si occupa di organizzazione di eventi. In passato adoperava i voucher per regolarizzare la posizione di Steward ed Hostess. Alla luce della nuova normativa conviene adoperare le prestazioni occasionali o procedere con una assunzione a tempo determinato e parziale?

Ipotizziamo che le nostre hostess lavorino per 6 giorni per 4 ore al giorno. Il nostro contratto di riferimento sarà il CCNL Commercio-Confcommercio, che all’art. 72 disciplina il contratto di lavoro a tempo parziale prevedendone la durata minima.

aziende che occupino complessivamente fino a 30 dipendenti

a) 16 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario settimanale;

Teniamo conto di questi dati:

  1. Livello di inquadramento V ° con paga oraria pari ad euro 8,91
  2. Per 6 giorni non avremo alcuna incidenza di 13^ e 14^
  3. I dipendenti per 6 giorni di lavoro non matureranno TFR e altri istituti contrattuali incidenti sul costo del lavoro
  4. Settore contributivo: Commercio con titolare non iscritto alla gestione commercianti (CUAF intera) per una aliquota contributiva pari al 28,98% + 1,40% che finanzia l’indennità NASPI trattandosi di un contratto a tempo determinato.
  5. Premio INAIL calcolato sulla voce di tariffa 0541 “Spettacoli pubblici: cinema, teatri, sale da concerti, circhi, altre attività itineranti di intrattenimento e di spettacolo, ecc.” per un valore del 23 ‰ al quale aggiungeremo un 1% ANMIL.

 

Le nuove prestazioni di lavoro occasionale risultano essere, nel caso di specie, più costose rispetto ad una “normale” assunzione a tempo parziale di circa un 4%.

Conclusioni

E’ chiaro da questa analisi che la convenienza delle prestazioni occasionali va valutata caso per caso e non risulta scontata rispetto ad una assunzione standard per le prestazioni di breve durata.

In modo particolare è interessante evidenziare:

  1. Rigidità nella durata minima della prestazione di lavoro occasionale pari a 4 ore. A seconda del CCNL da applicare e dalla durata settimanale della prestazione può risultare più conveniente una “normale assunzione” che consente di retribuire il dipendente per un numero minore di ore sempre nel rispetto dei limiti previsti dalla contrattazione collettiva.
  2. Per le assunzioni a tempo determinato di durata inferiore ai 12 giorni  non è richiesta la forma scritta del contratto. Questo semplifica gli adempimenti, tenuto conto che la nuova procedura telematica Prest.o non risulta a mio avviso particolarmente agevole, anche rispetto alla necessità di procedere ex ante alla ricarica del portafoglio virtuale.

 

DiPaolo Rotella

Nuovi voucher: back to the future?

A leggere bene il DDL n. 2853 di conversione in legge del decreto-legge n. 50/2017, la nuova disciplina delle prestazioni occasionali presenta degli elementi di assoluta novità (e criticità) rispetto al vecchio voucher. L’operatività delle norme renderà chiaro se l’intento del legislatore (realizzare uno strumento normativo tale da favorire le prestazioni occasionali limitandone gli abusi) sarà raggiunto. A mio modestissimo avviso l’impianto normativo così concepito – seppur con qualche riserva sulla tecnica giuridica adottata – sembra avere una sufficiente tenuta anti-elusiva.
Ma andiamo con ordine. Cosa sono le nuove prestazioni di lavoro occasionali? Ecco, qui si presenta in tutta la sua plasticità uno dei limiti della nuova normativa (nel solco della precedente disciplina). Si parla di “prestazioni di lavoro occasionali” definendone i limiti in senso temporale e quantitativo (che ora vedremo) ma appare azzardato parlare di contratto di prestazioni occasionali, come dichiara la lettera b) comma 6 dell’art. 54-bis del DDL. Se la memoria non mi inganna gli elementi essenziali del contratto ex art. 1325 del codice civile sono:

– L’accordo
– La causa
– L’oggetto
– La forma, quando risulta richiesta dall’ordinamento ad substantiam

Nel caso delle nuove prestazioni occasionali parlare di contratto appare eccessivo. Il legislatore definisce il contenuto delle prestazioni occasionali semplicemente disegnandone i limiti. Quello temporale fa riferimento all’anno civile (1 gennaio – 31 dicembre), e ad un numero massimo di 280 ore in tale periodo, mentre quello economico viene ridotto rispetto alla precedente disciplina:

– Per ciascun prestatore in riferimento al medesimo utilizzatore: max 2.500 euro
– Per ciascun prestatore in riferimento alla totalità degli utilizzatori: max 5.000 euro
– Per ciascun utilizzatore con riferimento alla totalità dei prestatori: max 5.000 euro

Tali importi sono da considerarsi al lordo o al netto? Non è dato sapere! La legge (incomprensibilmente) tace su tale aspetto. Il lavoratore verrà iscritto alla gestione separata INPS e tutelato ai fini INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Inoltre i compensi, come già previsto dalla “vecchia” normativa sui voucher, sono esenti da IRPEF, non fanno perdere lo stato di disoccupazione e sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rinnovo del permesso di soggiorno. Sono computati in misura pari al 75% del loro importo compensi per prestazioni occasionali rese dai seguenti soggetti:

– Titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità
– Giovani con meno di venticinque anni di età se iscritti ad un ciclo di studi
– Disoccupati ex art. 19 del D.lgs. n. 150/2015
– Percettori di misure integrative di sostegno al reddito (NASPI o nuovo Reddito di Inclusione REI)

Al fine di porre un limite ai comportamenti elusivi viene previsto che le prestazioni di lavoro occasionale non sono attivabili nei confronti di un lavoratore che era già stato alle dipendenze del committente negli ultimi sei mesi, anche attraverso rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Inoltre la nuova norma prevede apertis verbis (ma non vi era alcun dubbio in merito anche in vigenza della precedente disciplina) ex artt. 6 e ss. Del D.lgs. 66/2003 che il prestatore ha diritto al riposo giornaliero.
Per quanto concerne la platea dei potenziali utilizzatori delle nuove prestazioni occasionali la norma distingue:

Persone fisiche che possono ricorrere alle prestazioni occasionali attraverso il c.d. “Libretto Famiglia”. Il libretto si compone di titoli di pagamento con valore nominale di euro 10 lordi (comprensivi di contributi previdenziali INPS, assicurazione INAIL e commissioni). I singoli titoli possono essere utilizzati per prestazioni di lavoro non superiori ai 60 minuti, per il pagamento di a) piccoli lavori domestici (es. giardinaggio, pulizia, manutenzione) b) assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate e/o con disabilità, c) insegnamento privato (lezioni private).
Mediante la piattaforma informatica che verrà messa a disposizione dall’INPS, l’utilizzatore persona fisica dovrà comunicare entro il 3 del mese successivo a quello in cui si è verificata la prestazione, i dati identificativi del prestatore, il compenso pattuito, il luogo di svolgimento e la durata della prestazione lavorativa.

Altri utilizzatori che non abbiano alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato, con esclusione delle imprese nel settore dell’edilizia e affini, nonché nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere e/o sevizi. Per quanto concerne la misura minima oraria del compenso, qui emerge una delle più importanti novità rispetto alla precedente normativa. Non mi sembra azzardato parlare di una latente introduzione di una forma di salario minimo garantito. Mentre infatti la precedente disciplina menzionava un valore nominale del buono orario (ex art. 49 comma 2 del D.lgs. 81/2015) ora la legge fissa esplicitamente una misura minima di compenso pari a 9 euro. Aumenta inoltre la contribuzione a carico del datore di lavoro, de facto parificata a quella della generalità dei lavoratori subordinati, con una percentuale pari al 33%, ed una quota per l’assicurazione INAIL pari al 3,5% del compenso.
Mentre gli adempimenti, nella fattispecie di persone fisiche, possono essere espletati ex post, nel caso di tutti gli altri utilizzatori la comunicazione all’INPS (e non più all’Ispettorato del Lavoro) deve essere effettuata ex ante almeno 60 minuti prima che inizi la prestazione.
L’utilizzatore dovrà comunicare:

– I dati anagrafici del prestatore
– Il luogo di svolgimento della prestazione, la data e l’ora
– l’oggetto della prestazione
– il compenso pattuito, comunque non inferiore a 36 euro, per prestazioni di durata non superiore a 4 ore continuative nell’arco della giornata. Di fatto il legislatore prevede una durata minima della prestazione di lavoro accessorio di 4 ore consecutive. Nel caso in cui la prestazione lavorativa, per qualsiasi motivo, non abbia luogo, l’utilizzatore è tenuto a comunicarne la revoca entro i tre giorni successivi al giorno programmato di svolgimento della prestazione.

Le imprese agricole che potranno adoperare le prestazioni occasionali relativi ad alcuni soggetti selezionati:

– Pensionati
– Studenti “over 25”,
– Disoccupati
– Percettori di integrazioni salariali (anche nuovo reddito di inclusione)

Per il lavoro agricolo il compenso dovrà essere pari alla retribuzione oraria prevista dal CCNL a livello nazionale, anche se ritengo che più opportunamente (visto le caratteristiche del settore) il parametro di riferimento dovrebbe essere la contrattazione provinciale.

Novità assoluta riguarderà le modalità di erogazione dei compensi. Sarà infatti l’INPS che provvederà al materiale pagamento della prestazione entro giorno 15 del mese successivo alla effettuazione della prestazione stessa.

 

DiPaolo Rotella

Decontribuzione e coinvolgimento paritetico dei lavoratori

La legge n. 208/2015 aveva segnato il “ritorno” della detassazione dei premi di produttività, detassazione che per la prima volta nel nostro ordinamento diveniva strutturale, superando i limiti e le incertezze di interventi una tantum che in passato avevano scoraggiato i datori di lavoro nell’utilizzo di tali misure incentivanti. Questo primo passo verso forme di “welfare contrattato” ha avuto una decisiva conferma con il Decreto Legge n. 50/2017, che novellando integralmente il comma 189 dell’art. 1 della legge n. 208/2015, introduce la decontribuzione piena in favore dei lavoratori, e la riduzione del 20% dell’aliquota contributiva IVS a carico del datore di lavoro. La decontribuzione si fonda su un presupposto fondamentale, vale a dire l’implementazione di forme di engagement dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro. La ratio della norma è chiara: tentare di incentivare forme di cooperazione e collaborazione bottom-up che consentano di ottenere maggiori livelli di redditività e competitività aziendale. In tale prospettiva – come già sottolineato dalla circolare della Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 – è fondamentale che i lavoratori siano parte attiva dei processi decisionali, e che quindi tale coinvolgimento non sia “formale”, con la semplice realizzazione, ad esempio, di gruppi di consultazione, addestramento o formazione. Gli strumenti di coinvolgimento dei lavoratori dovranno essere disciplinati da un contratto collettivo di secondo livello, in conformità alle regole previste dalla Legge di Stabilità 2016 e dal Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016: il contratto collettivo aziendale o territoriale, stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze aziendali, dovrà essere depositato con procedura telematica entro i 30 giorni successivi alla sottoscrizione presso la sede ITL competente per territorio. L’agevolazione contributiva potrà essere applicata su premi che non superino la soglia degli 800 euro annui ed in esecuzione di contratti collettivi sottoscritti successivamente al 24 aprile 2017. Una delle criticità che si ravvisa, e che rende meno “appetibile” lo sgravio per i lavoratori, è che a norma del co. 1 dell’art. 55 del Decreto legge de qua, per i premi erogati è “corrispondentemente ridotta l’aliquota contributiva di computo ai fini pensionistici” ergo una riduzione dell’accantonamento contributivo calcolato sui premi stessi.

DiPaolo Rotella

Le nuove (complicate) regole in materia di compensazione

Il D.L. n. 50/2017 ha introdotto diverse modifiche alle compensazioni c.d. orizzontali previste dall’art. 17 del D.lgs. n. 241/1997. Cerchiamo di semplificarne l’esposizione al fine di rendere quanto più chiaro possibile il quadro normativo:

  1. Si riduce da 15.000 euro 5.000 euro annui l’obbligo di apposizione del visto di conformità alle compensazione di crediti. Questo cosa implica in termini pratici per il contribuente? Se ad esempio nel caso di compensazione IVA in F24 si supera il nuovo limite dei 5.000 euro, al fine di procedere alla compensazione il contribuente sarà obbligato a presentare preventivamente la dichiarazione fiscale dalla quale emerge il credito portato in compensazione, facendo apporre il visto di conformità.
  2. Dal 24 aprile le deleghe F24 contenenti crediti in compensazione  di qualsiasi natura dovranno essere presentate mediante gli strumenti messi a disposizione dalla Agenzia delle Entrate (Entratel – Fisconline) o per il tramite di un professionista abilitato. Non potranno essere più adoperati servizi diversi come ad esempio l’home banking.

Un dubbio nasce spontaneo circa la natura dei crediti da compensare. Si pensi ad esempio alla presenza  – nell’ipotesi di un datore di lavoro che operi ritenute in qualità di sostituto di imposta – dei crediti relativi al c.d. bonus 80 euro (codice tributo 1655) ex art. 1 del D.L. n. 66/2014, o dei crediti derivanti da rimborsi per assistenza fiscale dei sostituti di imposta. Come evidenziato da una interessante circolare della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro tali fattispecie dovrebbero rimanere escluse dalla nuova disciplina, ma si attendono ulteriori chiarimenti in merito da parte dell’Agenzia.

Vediamo in maniera schematica quali sono allo stato attuale le modalità di presentazione del modello F24 per i titolri di partita IVA:

  • DELEGA F24 CON SALDO A ZERO: Presentazione esclusivamente mediante Entratel, Fisconline o intermediario abilitato (Consulente del lavoro, Commercialista, ecc.)
  • DELEGA F24 CON SALDO POSITIVO SENZA COMPENSAZIONI TRA CREDITI E DEBITI: Presentazione esclusivamente in modalità telematica (no cartaceo) in questo caso anche attraverso i tradizionali servizi di home banking.
  • DELEGA F24 CON SALDO POSITIVO CON COMPENSAZIONI TRA CREDITI E DEBITI: Presentazione esclusivamente mediante Entratel, Fisconline o intermediario abilitato (Consulente del lavoro, Commercialista, ecc.)

DiPaolo Rotella

Agevolazioni contributive alternanza Scuola-Lavoro

Da molto tempo nel nostro Paese si era tentato di individuare una strada normativa che potesse colmare la distanza tra scuola e settori produttivi. Il legislatore, con un occhio alle best practices del modello tedesco, è intervenuto con la l. n. 107/2015 (c.d. “buona scuola”) rendendo obbligatoria l’alternanza scuola lavoro, per un totale di 400 ore nel triennio finale degli Istituti tecnici e 200 nei licei. In tale alveo normativo e progettuale è intervenuta la l. n. 232/2016 che al comma 308 dell’art. 1 ha previsto un particolare esonero contributivo per i datori di lavoro che, entro i sei mesi successivi all’acquisizione del titolo di studio, intendano assumere un giovane che abbia svolto presso il medesimo datore un periodo di alternanza scuola-lavoro pari ad almeno il 30% delle ore previste dalla l. n. 107/2015. Ad essere incentivati sono tutti i datori di lavoro privati (nessun riferimento espresso alla natura di imprenditore ex art. 2082 c.c.) che assumano tra il 1° gennaio 2017 ed il 31 dicembre 2018 con contratto a tempo indeterminato, anche in apprendistato, e con l’eccezione dei contratti di lavoro domestico e degli operai del settore agricolo. Il legislatore non esclude apertis verbis il contratto di lavoro intermittente, ma ad avviso di chi scrive tale tipologia contrattuale sembrerebbe incompatibile con la natura “inclusiva” dell’intervento normativo de qua. L’agevolazione consiste nell’esonero dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi INAIL, per un periodo massimo di 36 mesi e nel limite massimo di 3.250 euro all’anno. La fruizione dell’agevolazione sarà a “domanda” molto probabilmente con un sistema analogo a quello previsto dall’INPS per il Bonus Sud-Giovani. Le medesime agevolazioni si applicano, inoltre, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro assuma con contratto a tempo indeterminato entro sei mesi dall’acquisizione del titolo, giovani che abbiano svolto presso lo stesso datore, un periodo di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale ex art. 42 del D.lgs 81/2015. In tal senso assume un certo interesse il comma 240 lettera b) dell’art. 1 l.n. 232/2016, che tenta di dare nuovo vigore a tale tipologia di apprendistato prorogandone le agevolazioni, che consentono – tra l’altro – di non applicare fino al termine del periodo formativo il c.d. ticket licenziamento ex art. 2 c. 31-32 l. n. 92/2012, e riducendo l’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro dal 10% al 5%.