Sempre più spesso si ravvisano a livello giurisprudenziale condotte da parte dei lavoratori – cassieri, addetti e/o commessi di vendita nel commercio al dettaglio – che hanno ad oggetto episodi in cui la carta fedeltà, propria o di soggetti terzi, viene impropriamente utilizzata dal dipendente al fine di trarne un vantaggio diretto e/o indiretto. Molto spesso le carte fedeltà consentono di accumulare punti che possono, a loro volta, essere tramutati in buoni sconto da utilizzare in diversi punti vendita.
Si tratta di condotte che pur cagionando in molti casi un danno economico esiguo, incrinano de facto il rapporto fiduciario e vengono sanzionate con un licenziamento disciplinare da parte del datore di lavoro. La Cassazione, con la recente sentenza 11181/2019, ha ritenuto legittima la decisione presa dalla Corte d’appello in merito al licenziamento della cassiera di un negozio, provvedimento ritenuto illegittimo, invece, dal Giudice di prime cure. La dipendente ometteva di consegnare 8 buoni sconto riservati ai clienti titolari di una carta fedeltà ed accumulati sul 10% del valore complessivo della spesa. I buoni sconto trattenuti dalla dipendente, pari ad un valore di 24,09 euro, sono stati poi utilizzati dal marito della stessa per pagare la spesa.
La Cassazione osserva che la Corte d’appello ha ben valutato il venir meno dell’elemento fiduciario nel rapporto con il datore di lavoro «indipendentemente da una valutazione economica dell’entità del danno causato…certamente non rilevante», valorizzando invece la gravità della condotta, ricollegata alla truffa.
Alla base di questa pronuncia della Cassazione, vi è un indirizzo maggioritario che pone l’accento alla rilevanza che viene attribuita al vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato in collegamento diretto con i doveri di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. Così, per Cass. n. 18184/2017, deve ritenersi legittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che aveva indebitamente accreditato sulla sua carta punti l’importo della spesa effettuata da altri clienti in maniera da accumulare una somma rilevante che avrebbe poi speso sotto forma di sconti; in questo caso infatti, secondo la Corte, si è in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, considerato anche che la lavoratrice era perfettamente a conoscenza di tenere un comportamento espressamente vietato dal regolamento aziendale.
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Cass. n. 8703/2018 riguarda invece una lavoratrice che ricopriva le funzioni di store manager la quale effettuava in un solo anno, 67 transazioni con utilizzo di carte di sconto assegnate a due dipendenti che però erano estranei al punto vendita e non erano nemmeno presenti al momento dell’acquisto. Qui ad essere censurata è stata non solo la condotta ma soprattutto la reiterazione dei fatti addebitati con l’aggravante che quest’ultimi erano stati commessi dal responsabile del punto vendita. Inoltre la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non trova applicazione laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro. Nella fattispecie, Cass. n. 8535/2012 ha ritenuto legittimo il licenziamento di un cassiere che, in modo sistematico, accreditava sulla propria tessera i punti premio relativi ad acquisti effettuati da soggetti terzi. Per tali ragioni Cass n. 18184/2017 considerava legittimo il licenziamento di una cassiera colpevole di aver accreditato l’importo della spesa fatta dai clienti sulla propria carta punti, in più occasioni durante un periodo di circa 7 mesi. In questo modo, la lavoratrice aveva accumulato punti equivalenti alla somma di 50 euro, spendibile sotto forma di sconti presso i supermercati aderenti al circuito della fidelity card.
Dalla analisi giurisprudenziale emerge come il danno patrimoniale delle condotte contestate è, molto spesso, esiguo. Tuttavia per quanto concerne la nozione di tenuità del danno, l’orientamento prevalente della giurisprudenza evidenzia come ai fini dell’accertamento della giusta causa di licenziamento si deve considerare il disvalore intrinseco della condotta, senza che abbia rilievo l’entità del danno che ne possa conseguire (inter alia Cass. n. 10842/2016; Cass. n. 21017/2015 , Cass. n. 2017, n. 18184, Cass. 24014/2017).
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