Agevolazioni per lavoratori impatriati: le novità del Decreto Crescita

DiPaolo Rotella

Agevolazioni per lavoratori impatriati: le novità del Decreto Crescita

Il Decreto c.d. Crescita (D.l. 34/2019) convertito con L. n. 58/2019 prevede all’art. 5 un sostanziale restyling della normativa agevolativa finalizzata ad incentivare il rientro dei c.d. cervelli impatriati.

La materia è stata oggetto di un articolato substrato normativo, che ha avuto origine con la legge n. 238/2010 e ha visto susseguirsi diversi interventi legislativi propedeutici al decreto c.d. internazionalizzazione che ha reso strutturale l’incentivo fiscale per gli impatriati. In modo particolare l’art. 16 del d.lgs. 147 del 2015 prevedeva uno sconto sull’imponibile fiscale dei lavoratori reimpatriati pari al 30%, innalzato poi al 50% con la legge di Stabilità 2016 (l. 232/2016, art. 1 c. 150) a partire dall’anno di imposta 2017.

In tale prospettiva il Decreto Crescita è intervenuto al fine di rendere ancora più appetibile il bonus impatriati, intervenendo sui requisiti previsti dal comma 1 dell’art. 16 del D.lgs. 147/2015 per l’ottenimento delle agevolazioni. In primiis viene esteso il Bonus anche ai redditi di impresa prodotti dai lavoratori impatriati, purché quest’ultimi avviino un’attività di impresa in Italia a partire dal 2020. L’agevolazione fiscale, inoltre, è ampliata dal 50% al 70%. Questo implica che i redditi da lavoro autonomo, da lavoro dipendente o di impresa, concorreranno solo per un 30% alla formazione dell’imponibile fiscale. La precedente formulazione dell’art. 16 prevedeva ala lettera a) che il lavoratore impatriato non dovesse essere stato residente in Italia nei 5 anni precedenti il trasferimento; tale requisito viene ridotto a due periodi di imposta precedenti il trasferimento con l’obbligo di mantenimento della residenza in Italia per almeno due anni successivi al trasferimento.  La norma secondo la novella legislativa introdotta dall’art. 5 non prevede categoricamente che l’impresa debba essere residente nel territorio dello Stato, ma semplicemente che l’attività lavorativa venga svolta prevalentemente in Italia, senza tra l’altro che il lavoratore rivesta ruoli aziendali apicali e/o di elevata specializzazione e/o qualificazione. Lo sconto fiscale ha una durata strutturale di 5 anni, con la possibilità di proroga per ulteriori 5 anni qualora il dipendente abbia almeno un figlio minore a carico, o sia divenuto proprietario di un immobile residenziale in Italia successivamente al trasferimento o nei 12 mesi successivi al trasferimento. L’esenzione fiscale aumenta al 90% qualora il lavoratore abbia almeno 3 figli minorenni a carico. Il nuovo comma 5-bis riduce ulteriormente il reddito imponibile dei primi 5 anni al 10% qualora i lavoratori trasferiscano la propria residenza in una delle regioni del mezzogiorno.

 Interessantissima è poi la disposizione contenuta nel nuovo art. 5-ter. L’iscrizione all’AIRE, infatti, non è più condizione per la fruizione delle agevolazioni fiscali, essendo sufficiente che i soggetti impatriati abbiano avuto residenza in uno Stato con il quale sia stata stipulata una convenzione contro le doppie imposizioni. Tale norma ha efficacia retroattiva, potendosi anche applicare ai soggetti che avevano beneficiato del bonus fiscale nella precedente formulazione e che avevano, inoltre, instaurato un contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria. L’efficacia retroattiva, tuttavia, non potrà consentire il rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo.

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Paolo Rotella editor