Sebbene sia sempre stato molto critico nei confronti di interventi una tantum di decontribuzione, (ne ho discusso ampliamente qui e qui) la legge di Bilancio 2018 (l.n. 205/2017) ripropone un nuovo incentivo finalizzato a favorire l’occupazione giovanile e stabile. In modo particolare i datori di lavoro che a partire dal 1° gennaio 2018 assumeranno con contratto a tempo indeterminato giovani con meno di 35 anni di età, ovvero trasformeranno in tempo indeterminato un precedente contratto a termine, avranno diritto ad un esonero contributivo pari al 50% dei contributi previdenziali, per un periodo di 36 mesi, nel limite massimo di 3.000 euro su base annua.
Così esplicata la norma sembrerebbe molto simile agli sgravi – biennale e triennale – che hanno agevolato le assunzioni stabili negli ultimi due anni. In realtà la norma prevede una serie di limiti che renderanno di non facile fruizione lo sgravio, creando – a parere di chi scrive – non poco contenzioso con l’Istituto Previdenziale.
Primo aspetto interessante, è che soltanto per il 2018 l’incentivo riguarderà gli under 35. A partire dal 2019 il limite di età scenderà a 30 anni. Un elemento che senza alcun dubbio limiterà una estesa fruizione dell’incentivo, è che quest’ultimo potrà essere goduto solo ed esclusivamente con riferimento a soggetti che non siano mai stati assunti a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro. Sicuramente questo rappresenta l’aspetto meno condivisibile della norma. Considerando che un giovane di 35 anni, potrebbe essere stato assunto molti anni fa a tempo indeterminato – anche per pochi giorni, prima, ad esempio, di rassegnare le proprie dimissioni – questa singola assunzione a tempo indeterminato rende inesigibile al nuovo beneficio contributivo. Non solo, tenendo conto che l’età minima per l’accesso al lavoro è pari a 16 anni, questo implica potenzialmente che il datore di lavoro dovrà ripercorrere a ritroso per quasi un ventennio, la vita lavorativa del giovane per il quale volesse accertare la possibilità di godere del beneficio contributivo. Un aspetto di assoluta novità, tuttavia, è rappresentato da una sorta di portabilità dell’agevolazione contributiva in capo al lavoratore. Nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia usufruito di un parziale esonero, porterà in “dote” il beneficio residuo anche in capo al nuovo datore di lavoro che intenda assumerlo a tempo indeterminato, il quale potrà godere dei mesi di decontribuzione non usufruiti dal precedente datore di lavoro. L’agevolazione non spetta in caso di assunzione con contratto di apprendistato, sebbene ai sensi dell’art. 41, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, l’apprendistato è definito come “contratto di lavoro a tempo indeterminato” . Nel caso dell’apprendistato l’incentivo trova applicazione solo nel caso di sua prosecuzione, successiva al 31 dicembre 2017, e quindi di conferma in servizio in seguito al superamento del periodo formativo, a condizione che il lavoratore non abbia compiuto il 30° anno di età. E’ agevolabile, inoltre, la trasformazione di un contratto a tempo determinato, sempre nel rispetto dei limiti anagrafici previsti dalla norma.
Quali sono le regole che deve rispettare il datore di lavoro per poter godere dell’incentivo
Oltre a rispettare i princìpi generali di fruizione degli incentivi, previsti dall’articolo 31 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, e non aver proceduto, nei sei mesi precedenti la data di assunzione agevolata, a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva, è stato introdotto un limite particolare: qualora il datore di lavoro proceda, nei 6 mesi successivi all’assunzione incentivata, al licenziamento per giustificato motivo oggettivo dello stesso lavoratore agevolato o di un altro lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva ed inquadrato con la medesima qualifica del lavoratore assunto con l’esonero, l’Istituto Previdenziale (INPS) provvederà alla revoca dell’incentivo ed al recupero del beneficio già fruito da parte dell’azienda.
Ora, cosa si intende per lavoratore con la medesima qualifica professionale? Questo è, a mio avviso, uno degli aspetti maggiormente problematici della norma. Infatti, alla luce del nuovo art. 2103 c.c., come modificato dall’art. 3 del decreto legislativo n. 81/2015, si considerano equivalenti le mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento. Così letta la norma, implicherebbe un divieto di licenziamento anche per un lavoratore che svolge mansioni de facto differenti rispetto a quelle compiute dal lavoratore agevolato, ma appartenenti al medesimo livello di inquadramento. Tale dato normativo appare alquanto problematico sul piano ermeneutico. Pensiamo ad esempio al caso del CCNL Terziario- Commercio, che per il livello 4° prevede un mansionario vastissimo che va dagli addetti alla segreteria che tengono contatti informativi con la clientela all’ ict security specialist. Davvero si può immaginare che il licenziamento dell’addetto alla segreteria per giustificato motivo oggettivo, possa andare ad inficiare, per esempio, il beneficio contributivo fruito per l’assunzione di un giovane tecnico ict?
Come al solito per rispondere a questi e ad altri quesiti scaturenti dalla norma, dovremmo aspettare i chiarimenti dell’INPS, in quella egemonia del “diritto circolatorio” che ormai caratterizza il diritto del lavoro italiano.
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